La russia sovietica dalla rivoluzione a oggi
(
«Prometeo», N° 1 anno 1946 )
Sommario
·
La
Russia sovietica dalla rivoluzione a oggi
·
I compiti economici della rivoluzione comunista russa. La NEP
·
Caratteri capitalistici e socialistici
della distribuzione
·
Apparato statale e regime proletario. La burocrazia
sovietica
·
L’illusione della costruzione del socialismo in un
solo paese
·
La involuzione dei caratteri proletari del regime
russo
·
Il neo-opportunismo di guerra
·
Le cause reali e non formali della degenerazione del
regime russo
La Russia sovietica dalla rivoluzione a oggi
Nella Prima Guerra imperialistica la sfrenata propaganda
che voleva condurre alla tregua ed al disarmo degli antagonismi di classe in
nome della sacra unità nazionale faceva leva soprattutto sulle caratteristiche
di taluni paesi in conflitto, convenzionalmente considerati come avanguardia
politica del mondo, e cittadella delle libertà rivoluzionarie.
Il Mussolini, classico esponente di questa tendenza in
Italia, si lasciò scuotere nella campagna anti-guerresca dai guaiti
social-patrioti: «Lascerete sgozzare la Francia?». E quando annunciò la decisa
virata di bordo inneggiò al tradizionale liberalismo inglese, alla Francia
delle dieci rivoluzioni e al libero democratico Belgio. Invano si rispose a
costoro che, nell'aggruppamento che la propaganda interventista idealizzava,
figurava nientemeno che la Russia degli Zar, e che le imprese coloniali delle
borghesie inglesi e francesi non erano seconde a quelle tedesche, mentre il
piccolo Belgio era il paese dei più spietati negrieri d'Africa.
Nella analoga presentazione della Seconda Guerra
imperialistica si è elevato dinanzi alla salda critica di classe di non pochi
coscienti gruppi proletari un argomento in apparenza assai più notevole: la
presenza, nella alleanza degli imperialisti anglo-sassoni, della Russia
sovietica, la Russia di Lenin e della Rivoluzione d'Ottobre, la Russia primo
esempio di dittatura rivoluzionaria del proletariato. Non sarebbe questa nuova
situazione, definita dalla presenza in uno dei due schieramenti borghesi di uno
Stato nel quale il proletariato detiene il potere politico, motivo sufficiente
a giustificare la tattica politica di soprassedere alla opposizione ed alla
lotta classista, al fine di impedire la vittoria di quel gruppo militare che,
sopraffacendo i suoi nemici, avrebbe anche soppresso il potere rivoluzionario
nel primo Stato del proletariato?
E questa sostanziale differenza storica non sarebbe così
importante da escludere, anche in un'analisi rigorosamente marxistica, il
parallelismo fra l'opportunismo social-patriottico e traditore della guerra
1914-1918 ed il recente atteggiamento dei partiti comunisti che, nei paesi
alleati, hanno sostenuto con ogni loro forza la guerra antitedesca?
Ad un'obiezione di tal natura non è sufficiente
rispondere con una invocazione formale e letterale delle formule storiche
dell'internazionalismo classista, della solidarietà dei partiti proletari
contro tutte le borghesie in pace e in guerra.
Va ammesso senz'altro, come d'altronde già faceva Lenin
nelle tesi del 1916 contro il social-patriottismo, che i marxisti non intendono
dire che le guerre siano tutte normalmente uguali, e che i loro esiti, nel
senso della prevalenza dell'uno o dell'altro aggruppamento in conflitto, siano
indifferenti agli effetti del divenire sociale e del cammino rivoluzionario del
proletariato.
La questione è evidentemente più complessa, e va risolta
con la capacità critica della coscienza proletaria di scorgere in ciascuna
situazione storica concreta, e nella marea delle interpretazioni
propagandistiche delle guerre, le linee direttive della interpretazione
classista del processo storico.
Occorre quindi un'analisi esauriente del processo
svoltosi in Russia per poter eliminare ogni dubbio sulla condanna
dell'opportunismo di questi ultimi anni, come non solo simile, ma ancora più
grave e deleterio di quello che imperversò nella Prima Guerra imperialistica.
Anzitutto va rilevato che l'argomento di schierare tutta
la forza politica internazionale comunista in quel campo nel quale agisce la
Russia dei Soviet ha condotto ad attitudini contraddittorie, in quanto nel
primo periodo della guerra, dal settembre 1939 al giugno del 1941, la Russia ha
svolto una politica di intesa con la Germania hitleriana, e ha realizzato
d'accordo con questa la spartizione della Polonia, la cui invasione da parte
dei tedeschi era stata proprio il fatto determinante dell'intervento in guerra
degli inglesi e dei loro alleati.
L'enorme gravità di questa duplice politica è risultata
nel fatto dalla crisi a cui ha condotto il movimento comunista in Francia ed in
molti altri paesi, quando i partiti comunisti lavoravano apertamente al
disfattismo della guerra antitedesca, provocando le repressioni delle borghesie
democratiche per l'accusa di filo-fascismo, e non pochi dei loro capi giunsero
a cercare solidale rifugio presso i nazisti.
Con la nuova svolta della guerra, dopo lo scoppio delle
ostilità fra Germania e Russia, i partiti comunisti furono costretti a
invertire nel modo più brusco la loro politica, passando dal sabotaggio
militare alla più smaccata propaganda patriottarda con la parola della guerra
al nazismo, pericolo mondiale.
Rovinose furono le conseguenze sull'organizzazione e
l'orientamento del proletariato. E tale fase importantissima sarebbe più che
sufficiente a revocare in dubbio la posizione politica che invoca l'unione
nazionale con gli alleati borghesi dello Stato proletario, e giustificherebbe
la corretta impostazione di alcuni gruppi internazionalisti di sinistra,
secondo i quali la Russia è tuttora uno Stato prettamente proletario, ma la sua
difesa internazionale contro l'imperialismo aggressore è possibile soltanto
mediante la lotta di classe rivoluzionaria del proletariato di tutti i paesi
contro il loro capitalismo. Ma la stessa tesi che la Russia sia tuttora un
regime proletario va esaminata e discussa in una analisi che si rifaccia
all'origine del difficile processo percorso dal regime sovietico dalla
rivoluzione ad oggi.
I compiti economici della rivoluzione comunista russa
La NEP
Nelle enunciazioni fondamentali della III Internazionale
e del bolscevismo leninista non fu mai dissimulato, ma fu ad ogni momento posto
in evidenza, che la Russia era uno dei paesi economicamente meno maturi per la
rivoluzione socialista, e che la vittoria rivoluzionaria dell'Ottobre 1917,
proprio in questo paese arretrato, aveva tanto maggiore importanza in quanto,
nello svolgersi internazionale della guerra di classe, doveva aprire la via
alla vittoria proletaria dei paesi più progrediti. Solo dopo la vittoria in
questi paesi la trasformazione della società russa in senso socialistico
avrebbe potuto prendere un ritmo decisivo: Lenin disse anzi che i rivoluzionari
russi, dopo aver condotta e vinta la prima grande battaglia della rivoluzione
mondiale, sarebbero, in tali ipotesi, passati al secondo posto rispetto al
proletariato comunista in Germania, in Inghilterra e in Francia. Gli
svolgimenti dell'urto delle forze storiche furono diversi, e se fu ributtato
l'assalto controrivoluzionario dato al regime russo dalle guardie bianche,
organizzate con ammirevole concordia sia dal militarismo tedesco che dalle
democrazie anglo-francesi, risultò d'altra parte impossibile alle forze
rivoluzionarie europee conquistare negli anni ardenti dal 1918 al 1920 altre
posizioni stabilmente vittoriose.
Nel 1921 Lenin, nell'annunciare quella che fu detta la
nuova politica economica (NEP) dei bolscevichi russi, chiarì che molte misure
economiche attuate rapidamente dal potere proletario subito dopo la sua
costituzione ed il suo consolidamento, non potevano avere che un carattere di
«comunismo di guerra», reso possibile e necessario dalla situazione che da un
lato era di aperto combattimento contro gli assalti degli eserciti
controrivoluzionari, dall'altro era di attentissima attesa degli sviluppi della
lotta rivoluzionaria europea.
Chiuso questo primo periodo, il compito costruttivo
economico della dittatura politica comunista non si poneva, come si era
sperato, dinanzi al quadro del complesso economico europeo con le immense sue
risorse capitalistiche-industriali, ma era invece costretto a coordinare i suoi
programmi al campo della sola economia russa.
Lenin chiarì che in questa convivevano elementi di tutte
le fasi storiche dell'economia, dal primitivo comunismo del mir all'economia
patriarcale asiatica, all'economia feudale della servitù della gleba, al più
progredito capitalismo dei centri in cui era addensata la grande industria,
alle prime forme socialistiche che il potere dei Soviet aveva realizzato.
Poiché si poneva il problema di attendere ulteriormente
il divenire rivoluzionario mondiale, occorreva, nel gioco di queste forze
complesse, condurre una politica che garantisse la continuazione del potere
politico proletario senza rinunzie o abdicazioni, ma che al tempo stesso
consentisse la vita materiale della popolazione russa, neutralizzasse le forze
avverse nascenti dagli ambienti economici retrogradi, e permettesse di avviare
l'industrializzazione dell'economia in misura almeno non inferiore a quel
minimo che si sarebbe realizzato anche se la rivoluzione anti-zarista si fosse
arrestata alle forme borghesi del potere.
Data l'enorme portata sociale dei piccoli e medi
contadini, la NEP dovette determinare un quadro di rapporti, in cui il gran
numero delle piccole aziende agricole potesse assicurare una produzione di
generi alimentari tale da sopperire ai bisogni del proletariato delle fabbriche
e dell'esercito rivoluzionario.
Nel primo periodo di comunismo di guerra si era cercata
questa soluzione di compenso al di fuori del sistema mercantile, e si era
assicurato l'approvvigionamento delle città con una distribuzione di Stato,
come si erano resi non mercantili e gratuiti una serie di servizi amministrati
dal potere centrale, dalla casa ai trasporti.
La rivoluzione dové riconoscere che queste conquiste non
potevano essere mantenute e fu necessario tollerare, dopo il prelievo di una
parte del prodotto rurale (che costituì l'imposta in natura), la libertà di
commercio dei residui prodotti e la possibilità per i contadini di trovare sul
mercato contro moneta i prodotti manifatturati dell'industria o del superstite
artigianato, di cui abbisognavano.
Questo processo, per cui contro alcuni caratteri
socialisti della nuova economia (statizzazione delle banche, monopolio del
commercio estero, statizzazione delle grandi industrie da parte del
proletariato giunto al potere) si lasciava sussistere un largo campo di
distribuzione a tipo mercantile, fu definito suggestivamente da Trotzky come
l'impiego di un sistema di contabilità capitalistica per registrare i rapporti
dell'economia socialista.
Da allora, infatti, anche le aziende industriali, e le
poche agrarie dipendenti dall'amministrazione centrale, registrarono le loro
entrate e le loro uscite con equivalenti monetari, e furono, prese
singolarmente, costrette a organizzarsi in modo da rendere attiva la differenza
tra la cifra monetaria dell'entrata e quella dell'uscita, così come fanno le aziende
dell'economia privata capitalistica.
Tuttavia, non era possibile a queste aziende accumulare
la differenza attiva a formazione di un capitale privato, in quanto tale
differenza veniva assorbita dalle casse generali dello Stato.
Non così avveniva, però, per le minute aziende
periferiche, non solo rurali, ma anche commerciali, artigiane e di piccola
industria. A tali aziende, sia pure sotto lo stretto controllo del potere
centrale, che ne conteneva l'espansione entro i limiti fissati da un piano
generale, era in realtà consentita l'accumulazione dei loro margini attivi, che
conduceva alla formazione di un nuovo capitale, e non era escluso dalla legge
sovietica che, sia pure in limiti ridotti, tali aziende potessero avere
prestatori d'opera remunerati con salario.
In tale piano, benché non assumessero grande importanza
quantitativa, si compresero le cosiddette «concessioni» a capitalisti stranieri
cui si consentì all'inizio ed anche in qualche caso notevole nel periodo più
recente, sotto precise limitazioni, di aprire in Russia aziende produttive di
cui abbisognava l'economia del paese, con la facoltà di esportarne il profitto.
Lenin, Trotzky, ed il partito bolscevico non
dissimularono, ma anzi dichiararono sempre apertamente che questo quadro
economico anfibio tra elementi capitalistici e socialistici della produzione e
della distribuzione consentiva, economicamente, l'accumulazione capitalistica
e, socialmente, il formarsi di nuovi ceti con interessi antiproletari, ma si
prefiggevano di fronteggiare l'influenza politica di questi col saldo potere
del partito e dello Stato operaio, ed allo scopo di guadagnare, evitando la
caduta del popolo russo nella carestia economica che avrebbe significato la
vittoria della controrivoluzione esterna, gli anni necessari ad attendere la
vittoria mondiale del proletariato, per passare alla estirpazione radicale di
ogni base sociale capitalistica.
Caratteri
capitalistici e socialistici della distribuzione
In realtà, la distribuzione mercantile non può coesistere
stabilmente con l'economia socialistica, e la costruzione di questa, pur
essendo un lungo processo successivo alla vittoria politica rivoluzionaria, non
è possibile se non strappando, quasi giorno per giorno, nuovi campi di attività
alla distribuzione anarchica mercantile per sostituirla con la distribuzione
organizzata sociale.
Se il capitalismo non è il solo tipo delle economie
mercantili, perché aggiunge al semplice mercantilismo i caratteri specifici
della concentrazione dei mezzi produttivi e del lavoro associato, non è però
possibile sradicare il capitalismo senza sradicare il mercantilismo della
distribuzione.
Un banale luogo comune sul marxismo è che questo abbia
esaurito tutta la critica della produzione capitalistica delibando appena
quella della distribuzione. All'opposto tutta la dottrina del plusvalore e
della accumulazione capitalistica riposa sull'analisi e la critica della
distribuzione mercantile, e tutta la costruzione del Capitale parte dal fatto
monetario e mercantile. Dice Marx: «Nella società capitalistica il danaro
diviene capitale, il capitale produce il plusvalore, ed il plusvalore va ad
aumentare il capitale». E aggiunge: «Il rapporto ufficiale tra il capitalista e
il salariato ha un carattere strettamente mercantile».
Tutta la spiegazione del fenomeno capitalistico prende le
mosse dal quesito storico che indaga come mai una quantità di moneta si cambi
in un equivalente di merce, tale merce si cambi di nuovo in un equivalente di
moneta, e la moneta si trovi aumentata.
Si legge in altro passo del Capitale: «A misura che la
produzione mercantile si trasforma in produzione capitalistica, le sue leggi di
proprietà si cambiano necessariamente in leggi della appropriazione
capitalistica. Grande illusione è perciò quella di Proudhon, che si immagina di
poter infrangere il regime del capitale, applicando ad esso le eterne leggi
della produzione mercantile».
Finché il prodotto sarà una merce, il produttore sarà uno
sfruttato. La formula corrente di socializzazione, ossia di soppressione della
proprietà privata dei mezzi di produzione, va innanzi tutto inseparabilmente
estesa ai mezzi di scambio, e per questi non si debbono solo intendere i mezzi
di materiale trasporto della merce dalle fabbriche ai luoghi di consumo, ma
tutta la specifica organizzazione del commercio borghese all'ingrosso e al
minuto. In secondo luogo, non si deve confondere socializzazione con
statizzazione, in quanto la statizzazione è attuabile perfettamente in regime
capitalistico. Lo Stato borghese non espropria ma acquista, contro indennità,
grandi aziende private (ferrovie, miniere ed altro) e le gestisce con la stessa
tecnica delle aziende capitalistiche private anche se per avventura in qualche
caso ne colmi il passivo per motivi politici con altre risorse del suo
bilancio. I lavoratori di tali aziende non cessano di essere salariati e
sfruttati. La generalizzazione di questo sistema, che, in certo senso, va
attuandosi con l'evolversi dell'imperialismo monopolistico, conduce non a una
prima forma di socialismo, ma al capitalismo di stato.
Il criterio discriminante per parlare di socialismo
parrebbe ridursi a questo: che il potere statizzatore sia non quello della
borghesia capitalistica ma quello del proletariato vittorioso. Tuttavia, la
vera distinzione è più profonda. Le tesi marxiste secondo cui l'economia
determina la politica e il potere politico proletario è la condizione per
costruire l'economia socialista, non sono contraddittorie, purché siano
esattamente intese nel senso dialettico.
Il criterio discriminante fondamentale è tecnico-economico,
benché la discriminazione sulla classe che possiede il potere ne sia una
condizione necessaria e pregiudiziale. Le aziende amministrate con criterio
capitalistico (anche se di proprietà dello Stato) calcolano la loro entrata e
la loro uscita in moneta e regolano tutta la loro dinamica in modo da rendere
massima la differenza fra la prima e la seconda, ossia il profitto. Invece le
aziende del sistema di economia collettiva non calcolano il loro movimento in
moneta, né nel fatto, né ai fini computistici, ma la loro dinamica è regolata
dinamicamente insieme a quella di tutte le altre aziende, in modo che diventi
massimo non il profitto locale ma il prodotto generale.
Tale calcolo è possibile solo riunendo in un ufficio
direttivo generale centrale tutti i dati e gli elementi sulle risorse
produttive periferiche, e risolvendo il problema di dedurne la distribuzione
delle materie prime, dei macchinari, delle forze lavorative, ecc. tra i vari
settori e le varie aziende. Esisterebbe nell'economia di un paese, ad esempio
della Russia, una zona di produzione proletaria e socialistica, se questo
meccanismo fosse attuato almeno per un gruppo di aziende, ad esempio per
l'industria meccanica, od almeno se i lavoratori di queste aziende non
ricevessero più salario in moneta, ma l'assegnazione possibilmente non
contingentata di tutti i beni di consumo di cui abbisognano.
Questo concetto dell'economia avvenire non solo non può
apparire poco concreto, ma sta in totale coerenza col contenuto della critica
demolitrice che il marxismo ha applicato all'economia presente. Il regime
economico borghese, infatti, viene accusato e condannato non pel fatto bruto
del consumo di tutto il profitto delle aziende da parte della minoranza
padronale, che in sostanza costituirebbe una lieve sperequazione distributiva
sociale, ma invece per lo sperpero cento volte maggiore di forze produttive,
che deriva appunto dal tendere tutta la presente impalcatura economica e
sociale ad assicurare e garantire il profitto privato e non il prodotto
sociale. Vi è di più: nella critica economica di Marx è mostrato che se il
capitalista consumasse tutto il prodotto e non soltanto una parte, si avrebbe
una accumulazione costante e non progressiva di capitale, ed una meno rapida
esasperazione dello sfruttamento di classe. «Astenendosi» dal consumare tutto,
il capitalista diventa ancor più sfruttatore. Se anche non consumasse nulla,
sopravviverebbero lo stesso il carattere di classe dell'economia borghese e
l'oppressione dei lavoratori. Sono anche classici gli esempi estremi di
distruzione di prodotto ai soli fini di provocare rincaro di prezzi e aumento
di margine di profitto. La produzione di guerra nell'epoca attuale
dell'imperialismo costituisce un vero saturnale nel metodo capitalistico, per
cui il fine non è il consumo umano, ma la produzione speculativa, e l'economia
ideale è quella che distrugge freneticamente masse favolose di prodotti, nel
quadro della generale indigenza della maggioranza dei consumatori.
Non è soluzione socialista, totale o parziale, la
confisca del profitto e la sua distribuzione più o meno ugualitaria ai
lavoratori della singola azienda (cooperazione, associazionismo, azionariato
sociale) come non è socialismo la distribuzione di esso a tutti i cittadini,
ammesso pure che lo Stato, anziché essere nelle mani di classi minoritarie, sia
passato nelle mani del proletariato: questo è pur sempre capitalismo di stato.
Carattere discriminante delle realizzazioni socialiste nell'economia (le quali
sono possibili soltanto in regime di dittatura del proletariato e
necessariamente invadono soltanto l'uno dopo l'altro e in un processo
prolungato i vari settori economici) è lo svincolamento di una massa di forze
produttive dal meccanismo monetario mercantile e la loro organizzazione in
funzione del più alto rendimento del prodotto reso sociale. Una tale economia
socialista è di necessità pianificata, ma la sua pianificazione si impone per
evidenza tecnica e scientifica, che si potrebbe dire matematica, in una fase
storica più matura ed ulteriore rispetto a quella, preliminarmente
indispensabile, degli interventi dispotici della politica rivoluzionaria nel
corpo malato della vecchia economia dello sfruttamento.
Statizzazione e socialismo
All'opposto, non ogni economia pianificata è economia socialistica,
giustificata o meno che sia dalle esigenze militari o da quelle della
ricostituzione di risorse distrutte. Un capitalismo privato ed un capitalismo
di stato son ben suscettibili di esperimenti di economia pianificata; ed è anzi
questo il senso economico dei regimi fascisti.
Tra statizzazione delle aziende e socializzazione
dell'economia vi è quindi una differenza talmente sostanziale, che non solo in
tempo di potere borghese esse sono in aperta antitesi, ma anche dopo il
passaggio del potere al proletariato rivoluzionario non coincidono
automaticamente, bensì soltanto nella misura in cui la soppressione della
proprietà privata delle aziende si accompagna a quella del meccanismo privato e
mercantile di organizzazione dell'azienda e di distribuzione.
Lo Stato è indispensabile alla rivoluzione proletaria
come arma politica, ma non come base della futura economia. La dittatura è per
il proletariato lo strumento della rivoluzione proprio in quanto la classe
vincitrice, trovandosi dinanzi ai tentativi di rivincita degli sconfitti
elementi delle vecchie classi dominanti, ed alle stesse influenze che il caduto
regime si era assicurato sulle classi oppresse coi mille suoi istituti (dalla
scuola alla stampa, alla propaganda della radio e degli spettacoli, agli
inquadramenti molteplici della gioventù - forze tutte non di emancipazione ma
di conservazione), si trova nella necessità di avere una guardia armata, una
polizia di classe, degli istituti di repressione, delle carceri per debellare e
colpire i conati controrivoluzionari. Tale apparato attua quegli interventi
nell'economia che Marx non esitò a definire dispotici, e che valgono a fare a
pezzi i vincoli con cui il vinto ordinamento borghese comprimeva e
tiranneggiava, ai fini del suo sfruttamento, le prorompenti forze economiche.
Visto il compito economico della rivoluzione non nel suo
lato negativo, di rottura di vecchi involucri e di tradizionali catene, ma nel
suo compito costruttivo, già la funzione dello Stato, che è altrettanto
inevitabile e indispensabile quanto passeggera e transitoria nell'ambito del
divenire storico, comincia a perdere il suo contenuto, come dovrà perderlo del
tutto, o almeno tendere al limite dello svuotamento totale, a mano a mano che
scompariranno le resistenze dei vecchi regimi e le sopravvivenze dell'antica
economia.
Il sistema economico che in un lungo e difficile processo
sarà sostituito a quello capitalistico non deve intendersi come il maneggio
arbitrario da parte di un centro di autorità statale di qualunque ramificazione
periferica dell'attività economica. Esso avrà il carattere del lavoro sociale e
non soltanto associato, di un sistema di coordinamento tecnico ed
amministrativo della produzione e della distribuzione su basi strettamente
razionali e scientifiche, pianificato su direttive unitarie e centralizzato nel
senso che un sicuro collegamento ad organi di compenso segua tutti gli atti
dell'economia.
Apparato statale
e regime proletario. La burocrazia sovietica
Già la Comune di Parigi, come Lenin rilevò, mise in luce
tale esigenza quando proclamò la revocabilità in ogni momento dei pubblici
funzionari e ne adeguò il trattamento a quello dell'operaio: ciò che del resto
era stato realizzato nella prima costituzione sovietica.
Introdottasi per necessità storica nel divenire della
trasformazione economica una fase di attesa e contr'ondata, era inevitabile che
lo stato proletario minacciasse di trasformarsi da elastico organismo di
combattimento rivoluzionario in pesante apparato di burocrazia privilegiata.
Ed infatti, mentre la registrazione a tipo capitalistico
obbliga le aziende periferiche a contenere i salari corrisposti ai dipendenti,
non vi è uguale freno nella retribuzione della burocrazia statale.
Questo pericolo, già intravisto sin dall'inizio, andava
combattuto nel campo politico e in quello sociale.
Nel campo politico dovevano servire le potenti tradizioni
del partito bolscevico e il suo rigoroso apparato di stato. Ma il rapporto di
influenza andò invertendosi, e gli allarmi che gruppi del partito dettero nei
congressi nazionali e internazionali vennero messi a tacere e repressi in nome
della disciplina e dell'unità, in realtà con mezzi che rivelavano il prevalere
della nuova impalcatura burocratica su quella vitale di partito. Tali mezzi
furono esattamente caratterizzati dall'opposizione dei trotzkisti, allorché
essi denunziarono i procedimenti per cui misure statali colpivano i compagni
che, nel seno del partito, esprimevano critiche all'indirizzo della politica
generale.
Tale inversione di influenza, per cui il partito cessava
di essere l'organo della dittatura di classe, fu più manifesta quando, ridotte
al silenzio le opposizioni, la dirigenza del partito, dopo il decisivo dissidio
tra Stalin e Trotzky, abbandonò apertamente la piattaforma leninista,
dichiarando che la politica economica interna non si basava sulla necessità di
attendere la rivoluzione internazionale, ma sarebbe consistita nel costruire il
socialismo nella sola Russia indipendentemente dalla rivoluzione mondiale.
Sempre sotto l'aspetto politico, il fenomeno si aggravò
con l'aperta persecuzione ai più provati vecchi bolscevichi, schieratisi contro
la politica dominante, che vennero - capi e gregari - perseguitati, processati,
giustiziati, diffamati come agenti controrivoluzionari, spingendo l'audacissima
falsificazione sino a sostenere che essi avevano agito in tale qualità già
negli anni in cui in piena collaborazione con Lenin avevano diretto la
rivoluzione nelle fasi decisive, con l'adesione e il consenso di tutti i
comunisti, compresi Stalin e gli stalinisti di oggi.
L'illusione della costruzione del socialismo in un solo paese
Nel campo sociale è palese che, abbandonata la
prospettiva di segnare il passo per attendere la rivoluzione all'estero e di
destinare le massime energie del partito e dell'Internazionale a tale scopo, la
pretesa progressiva costruzione del socialismo in un solo paese costituiva in
realtà, e per tappe successive, una involuzione nella quale le forme private
dell'economia risorgevano l'una dopo l'altra e rioccupavano campi già
conquistati all'economia proletaria.
Consentita sin dal
Si svolsero imponenti piani di industrializzazione,
raggiungendo e poi superando il livello produttivo della Russia di anteguerra;
ma non è questa una caratteristica socialista, poiché, abbattuto con lo zarismo
il predominio dell'aristocrazia terriera, anche un regime borghese e
kerenskiano avrebbe dato adito, forse anche maggiore, alla industrializzazione
dell'economia russa a cui offrivano ottime condizioni la ricchezza del paese in
materie prime e mano d'opera.
Nel campo dell'agricoltura, le aziende agrarie collettive
(che ebbero larga diffusione assorbendo molti piccoli contadini, tra cui
evidentemente quelli rovinati dall'accumulazione a favore dei più ricchi) non
solo non costituiscono una forma di economia collettivizzata, ma nemmeno di
economia statale, essendo in fondo semplici cooperative di coltivazione della
terra, analoghe a quelle che possono esistere e che esistono in regime
borghese, e la cui generalizzazione non costituisce una direttiva economica
comunista, ma si riduce al programma delle democrazie borghesi, mazziniane o
cattoliche che siano, programma realizzato praticamente in regime
capitalistico, come per esempio nelle fattorie collettive di Palestina. Il
programma comunista non consiste nell'identificare i prestatori di lavoro coi
padroni dell'azienda, ma consiste nel sopprimere il padronato, il trattamento
della forza lavoro come una merce, e l'estorsione del plusvalore, che si
verifica sempre quando l'azienda vede le sue attività amministrate col sistema
monetario mercantile, sia che il suo titolare giuridico sia un privato, una
società di privati, lo Stato, o anche l'associazione di tutti i dipendenti
dell'azienda.
La stessa legislazione sociale e politica ha subito una
serie di trasformazioni che hanno seguito l'involuzione dell'economia. Il
diritto ereditario è stato ristabilito, in quanto ciascuno può trasmettere le
sue proprietà (mobili, opere d'arte, case di villeggiatura, contanti, depositi
in banca, titoli governativi) a chi meglio crede; mentre in origine tutto
veniva avocato allo Stato. Le scuole non sono più tutte gratuite, ma quelle
superiori sono a pagamento ed alla portata delle famiglie privilegiate, salvo
poche borse di studio concesse a concorso, come nei paesi borghesi.
Radicalmente mutati sono, a parte i problemi internazionali
e le alleanze di guerra coi paesi capitalistici, a volta fascisti a volta
antifascisti o sedicenti tali, i rapporti con la chiesa, e la stessa
costituzione elettorale, che ormai, senza porre certamente in pericolo il
dominio della burocrazia centrale, ammette alla parità giuridica ed al
suffragio universale segreto i cittadini di ogni classe, sicché anche
teoricamente non deve più parlarsi di dittatura del proletariato.
Nella pratica realtà si è distrutto un altro dei criteri
distintivi attribuiti da Lenin all'apparato dello Stato operaio, ossia la
indissolubilità della funzione esecutiva e di quella legislativa in tutti gli
strati delle rappresentanze sovietiche, dalle piccole unità periferiche al
centro supremo. Tale carattere differenzia sostanzialmente il sistema di
governo della classe operaia da quello della democrazia borghese, nella quale
la delega elettorale, gabellata giuridicamente come cardine della sovranità di
ogni cittadino, per cui lo Stato sarebbe il servo del popolo, costituisce tanto
nella sostanza che nella forma una totale spoliazione di potere, poiché
l'elettore, deposta la scheda, diventa passivo essendo tutto il potere passato
nelle mani dello Stato poliziotto ed avendo solo questo possibilità esecutive.
Né può dirsi che la dittatura del proletariato sia venuta
a rendersi inutile per la inesistenza di una classe borghese e privilegiata, in
quanto la classe sfruttatrice del proletariato russo, che forse in un non
lontano domani potrà comparire alla luce del sole nell'interno dello stesso
paese, oggi è costituita da due forze storicamente evidenti, il capitalismo
internazionale e la stessa oligarchia burocratica interna dominante, sulla
quale appoggiano contadini, mercanti, speculatori arricchiti, ed intellettuali
pronti a propiziarsi il più potente.
Il rapporto economico col capitalismo estero ha questi
caratteri: lo Stato proletario aveva proclamato dal primo momento e mantenuto
il monopolio del commercio estero; il che vuol dire che non è possibile in
Russia che un privato accumuli capitali collocando sul mercato internazionale
merce russa e viceversa. A questi scambi presiede lo Stato, esso solo ne tratta
e accetta le condizioni, e ne riceve il beneficio o
Quanto al rapporto fra burocrazia di stato ed economia
interna, quando il sistema mercantile sopravvive e si dilata ogni giorno (come
vantano le stesse statistiche ufficiali russe del risparmio e del volume degli
affari), è inevitabile che la burocrazia si muova in una sfera di privilegio
economico, e prenda a mano a mano le caratteristiche di un ceto padronale.
Nei paesi borghesi, i fenomeni dell'imperialismo
(parassitismo capitalistico, monopolismo, concentrazione finanziaria, controllo
centrale degli indici economici) conducono ogni giorno, come a quella che è una
delle caratteristiche del fascismo, ad una osmosi tra burocrazia di stato e
classe del padronato.
La speculazione periferica e di iniziativa privata vive
benissimo tra gli schemi e i limiti del controllo statale, purché faccia larga
parte del suo profitto agli agenti della burocrazia di stato, che amministrano
concessioni, permessi e deroghe. Questo è un fatto economico-sociale generale,
per quanto la banalità delle democrazie antifasciste, non meno aperte nelle
loro gerarchie alla corruzione, lo definisca con enfasi filistea come un fatto
di ordine morale e criminale.
Per via storica diametralmente opposta, un rapporto
analogo si è inevitabilmente stabilito in Russia, in quanto il capitalismo
monetario privato, appunto perché impedito in ogni senso dall'investirsi
palesemente in diretta gestione di mezzi di produzione, trova vantaggio ad
aprirsi campi di speculazione retribuendo in forme più o meno illecite o
illegali gli enti onnipotenti della burocrazia di stato, che vigilano i vari
settori dell'economia.
Questo rapporto, per cui la massa delle classi non
abbienti lavoratrici ha purtroppo trovato nuovi padroni sfruttatori, è stato
aggravato dalla guerra, non solo in quanto le enormi spese di questa hanno
inghiottito una parte enorme della produzione, ma in quanto le esigenze di
rifornimento bellico hanno enormemente indebitato lo Stato russo verso i suoi
alleati capitalistici. Gli interessi e l'ammortamento di questo debito saranno
pagati dal lavoro proletario, in quanto la Russia di oggi non potrà sconfessare
il debito da affitto e prestito verso gli alleati, come sconfessò nel 1917
quello verso gli Stati borghesi, allora tutti suoi nemici. E non lo potrà
perché necessariamente avrà bisogno di altri affitti e prestiti dal capitale
estero, per l'opera enorme della ricostruzione dei suoi territori devastati e
di quelli stessi che la borghesia estera è larga a concederle per soddisfare il
nuovo spirito nazionalistico e imperiale, e che non sono territori sfruttabili,
ma zone devastate dal flagello della guerra, che il dominante capitalismo d'America
ha veduto imperversare su possessi non suoi.
La involuzione dei caratteri proletari del regime russo
Quali caratteri dunque della sua economia autorizzano
oggi a considerare la Russia un regime proletario?
Le ragioni politiche ed internazionali possono certo far
considerare come regime politico proletario quello che sia anche soltanto sulla
via che conduce dall'economia privata a quella socialistica, e che della
seconda abbia realizzato anche soltanto parte dei capisaldi. Ma quando in
qualunque settore dell'economia, anche il più progredito, come la grande
industria, mancano caratteristiche sociali proletarie, il quesito si risolve in
senso negativo.
Per non parlare del piccolo contadino, del piccolo
artigiano, del piccolo commerciante e, peggio, dei dipendenti di costoro, in
quali rapporti di economia non capitalistica si trova l'operaio della fabbrica
russa? Egli, come l'operaio dei paesi borghesi, non dispone dei prodotti del
suo lavoro (rapporto sociale proprio della produzione capitalistica, in quanto
superò quella artigiana, e che persiste nel regime socialista) e non cessa
dall'essere retribuito con moneta, mediante la quale deve acquistare i prodotti
necessari al suo consumo. Il suo tenore di vita è limitato ed egli non vede i
suoi prodotti divenuti prodotto sociale anziché merce capitalistica; resta un
venditore di forza-lavoro, ed una parte di questa gli viene sottratta a
beneficio del capitalismo di tutti i paesi.
La situazione, divenuta permanente, dell'isolamento
economico della Russia per la pretesa costruzione del socialismo, ha avuto per
conseguenza il dilagare del fenomeno militarista, che, insieme a forme
esteriori di pieno stile borghese patriottico e nazionalista, rappresenta un
colossale inevitabile peso economico sullo sforzo delle classi produttrici. I
piani per industrializzare la Russia, indirizzando i quattro quinti di questa
industrializzazione al potenziamento delle armate per vere e proprie conquiste
imperialistiche, ha sottoposto il lavoratore delle fabbriche ad uno sforzo
spasmodico. Il cosiddetto «stakhanovismo» con le sue gare di rendimento ed i
suoi premi agli operai che accumulano maggior prodotto, è l'equivalente dei
sistemi «scientifici» borghesi di organizzazione del lavoro, tendenti ad
estorcere all'operaio fin le ultime briciole della sua forza lavorativa; e si
svolge nel senso opposto a quello del collettivismo economico che deve
eliminare la tensione dello sforzo lavorativo, riducendo progressivamente tempi
di lavoro ed intensità di impegno fisico e nervoso dell'operaio, in modo che il
lavoro cessi di essere una condanna e diventi una contribuzione sociale tanto
necessaria alla collettività, quanto utile a ciascun individuo. Attraverso le
sferzate sia pure propagandistiche, tendenti a raggiungere i massimi di
rendimento lavorativo, la grande massa ricade in una più severa erogazione di
sopra-lavoro, ed i pochi prescelti o premiati acquistano la psicologia
conservatrice di una aristocrazia operaia.
Il carattere di salariato del lavoratore russo viene
implicitamente riconosciuto in quanto è ammessa l'organizzazione sindacale
degli operai che dipendono dalle fabbriche statizzate, il che non avrebbe
nessun senso in un settore di economia socialista, in cui non ci sono interessi
economici antipadronali da sostenere, e nemmeno differenza di interessi da
categoria a categoria. Viceversa, questi sindacati non hanno neanche la
possibilità di rivendicare miglioramenti di salario ed altri benefici, in
quanto sono assorbiti ed inquadrati nell'impalcatura burocratica statale, che
detta loro gerarchicamente le condizioni di trattamento degli operai, secondo
lo stesso indirizzo che prevale nei paesi capitalistici.
Lo stakhanovismo con l'intensificato sfruttamento delle
forze di lavoro, in una situazione in cui sono impossibili le conquiste
sindacali, ha determinato perfino violente reazioni dei lavoratori, che, come
dimostrano i numerosi processi dell'epoca 1933-'36, hanno fatto ricorso al
primordiale metodo di sabotare le macchine.
La definizione dell'economia russa attuale, in
conclusione, non è quella di socialismo, ma di un vasto e potente capitalismo
di stato, con distribuzione di tipo privato e mercantile, limitata da controlli
in tutti i campi dell'apparato burocratico centrale, e da contingentamento di
guerra, ed ha dunque caratteri convergenti, malgrado che molta distanza resti
da colmare da ambo le parti, con quelli della moderna economia mondiale di
interventismo statale dei grandi paesi borghesi. Il modello più razionale del
punto di convergenza di queste economie è quello realizzato in Germania dal
nazional-socialismo, che, in pace e in guerra, ha fornito un altissimo
rendimento nella utilizzazione di tutte le energie.
Il processo degenerativo ed involutivo di trasformazione
della Russia sovietica dal regime proletario dei primi anni al capitalismo di
stato attuale, pone e risolve un originale e importante problema storico, nuovo
per le applicazioni della teoria marxista.
La dottrina marxista stabilì le caratteristiche del modo
univoco con cui la rivoluzione proletaria può vincere: e la storia le ha
confermate. Il proletariato può giungere alla sua emancipazione soltanto con la
rottura violenta di tutti i rapporti dell'ordine capitalistico, e la attua
prima conquistando il potere politico e poi impiegandolo a spezzare le
multiformi resistenze che il vecchio ordine opponeva al sorgere della società
socialista. Per quali vie può invece svolgersi il processo opposto, quello che
mena alla sconfitta della rivoluzione proletaria?
Prima del 1920 non mancavano gli esempi di caduta delle
rivoluzioni operaie, dalla Comune di Parigi all'Ungheria, alla Baviera ecc., ma
sempre col prevalere di un'azione armata delle forze controrivoluzionarie
borghesi, che abbattevano il nascente Stato proletario, ne massacravano i
difensori e restauravano le vecchie istituzioni. Anche le rivoluzioni della
borghesia presentarono esempi di ritorni e restaurazioni reazionarie, il più
delle volte con aperte azioni armate, o attraverso la sconfitta nelle guerre.
Il divenire internazionale del capitalismo, e la potenza
delle sue forme di sviluppo hanno fatto sì che non abbiamo esempi di
restaurazione definitiva del regime politico pre-borghese e feudalistico, in
quanto nuove rivoluzioni successero alle restaurazioni legittimistiche, e gli
stessi paesi feudali vincitori nelle guerre furono successivamente teatro di
rivoluzioni in senso capitalistico.
Per quanto invece riguarda il regime proletario russo, si
deve concludere che esso, salvatosi gloriosamente dai tremendi assalti delle
forze controrivoluzionarie del capitalismo, ha soggiaciuto ad un'altra forma
storica di sconfitta, non rapida e violenta, non col carattere brusco della
controrivoluzione armata ed accompagnata da repentino mutamento della gerarchia
statale, ma attraverso un lungo periodo di involuzione, che ha progressivamente
distrutto le caratteristiche e le conquiste rivoluzionarie.
Questo secondo tipo di sconfitta rivoluzionaria del
proletariato dopo l'arrivo al potere è stata possibile per la concomitanza di
vari fattori: 1°) l'efficienza di classe della borghesia capitalistica e dei
suoi Stati che, sebbene scossi da crisi tremende, hanno, nello scontro delle
forze internazionali, impedito alla classe operaia di occupare il potere nei
paesi industrialmente più avanzati. 2°) La collaborazione controrivoluzionaria
con la borghesia da parte degli opportunisti social-democratici che, dopo la
più feroce campagna contro il sovietismo russo, giustamente nell'attuale sua
forma involutiva lo accolgono come alleato. 3°) La dispersione del movimento
politico proletario dell'Internazionale comunista, in relazione alla
controffensiva della reazione capitalistica e alla immaturità dimostrata nel
non saper svolgere in risposta ad essa una politica di potente e parallelo
attacco contro le forze borghesi cosiddette di destra e di sinistra.
Il neo-opportunismo di guerra
Uno degli aspetti più disastrosi della via seguita nel
suo disfacimento dalla rivoluzione proletaria russa sta nella possibilità per
il neo-opportunismo di seguitare a sfruttare i simboli e le tradizioni
esteriori della vittoriosa rivoluzione che, dopo il 1917, sollevò l'ondata
travolgente di entusiasmo del proletariato più avanzato di tutti i paesi,
presentandogli nella potente realtà della storia la visione del suo processo di
emancipazione, che fino ad allora era stato soltanto aspirazione teorica e
critica.
I dirigenti dell'impalcatura statale russa parlano
ancora, malgrado l'enorme mutamento da essa subito, nel nome della Rivoluzione
d'Ottobre, del bolscevismo, del leninismo, adoperano gli emblemi, i simboli e
le bandiere che tanto parlarono negli anni dell'avanzata agli animi generosi
dei proletari. Una delle più efficaci chiavi manovrate dal neo-opportunismo è
stata la suggestione delle vittorie dell'esercito russo, lo stesso di Lenin e
di Trotzky, quello che sconfisse Wrangel, Kolciak, Denikin, Judenic, i campioni
della reazione capitalistica tedesca e anglo-francese, zarista, militarista,
democratica, e social-democratica. Anche giungendo a condannare talune direttive
politiche ed economiche dei capi della Russia di oggi, i gruppi proletari hanno
sperato che, nella scia delle avanzate delle truppe sovietiche, passasse,
ritornando sui campi di Europa, la rivoluzione socialista.
Più che l'analisi critica, i fatti demoliranno e già
demoliscono tale illusione. La solidarietà degli organi statali russi con
quelli degli altri Stati vincitori in merito all'organizzazione politica e
sociale del dopoguerra appare completa ed incondizionata, come lo è la fiducia
dei borghesi anglo-americani nell'innocuità rivoluzionaria del regime di
Stalin. Le difficoltà e i contrasti che insorgono fra i due gruppi sono
evidentemente dovuti a rivalità nella spartizione imperialistica del bottino
della vittoria.
Lo Stato rivoluzionario può avere un esercito di classe o
di partito, che combatta per coscienza politica, a differenza degli eserciti
borghesi, in cui un meccanismo onnipossente toglie all'azione del singolo
combattente qualunque contributo di adesione volontaria o spirituale per ridurlo
ad un pezzo passivo di una mostruosa macchina di distruzione, ma può averlo
solo a condizione che la impostazione di classe e rivoluzionaria della
coscienza dei lavoratori combattenti sia alimentata dal pienissimo svolgimento
della politica classista e internazionalista del partito che ha condotto la
rivoluzione e tiene sulla linea integrale delle sue tradizioni lo Stato e
l'esercito.
Queste armate di combattenti non si dovranno gettare su
di un popolo nemico, né tanto meno prestarsi ad inquadrare e controllare popoli
che si dicono liberati, ma dovranno suscitare ad ogni passo della loro avanzata
la guerra di classe degli sfruttati contro gli oppressori. Questo non è più
possibile oggi che le tradizioni di dottrina e di azione del partito bolscevico
sono state spezzate, oggi che l'Internazionale rivoluzionaria progressivamente
snaturata è stata ingloriosamente liquidata, e i suoi relitti posti a servizio
della politica borghese.
Il proletariato rivoluzionario, pur con uno sforzo
doloroso, deve dichiarare che le vittorie militari degli eserciti russi non
hanno il significato e l'effetto di vittorie della rivoluzione.
L'apparato militare, diretta emanazione dell'apparato di
stato, di cui esegue le disposizioni nel modo più squisitamente e
immediatamente meccanico, è una forza storica agente nello stesso senso di
quella impersonata dallo Stato politico. Non avendo più lo Stato russo il
carattere di regime politico del proletariato, l'immensa forza espressa dalle
armate della Russia odierna non è storicamente applicata nella direzione della
rivoluzione proletaria, ma collabora senza contrasto di natura classista con le
forze militari dei più grandi Stati del capitalismo, in un piano mondiale di
finalità conservatrici.
Le cause reali e non formali della degenerazione del regime russo
Questo bilancio economico, politico e militare
dell'azione della Russia nel decisivo momento storico ora esaminato è
certamente l'opposto di quanto ha per lunghi anni atteso la classe lavoratrice
mondiale. Mentre i rivoluzionari non devono assolutamente tacere la gravità di
una simile situazione, la critica di essa non deve però essere volta nel senso
di una condanna a gruppi ed a uomini la cui deprecata azione avrebbe condotto a
questi dolorosi risultati. Le cause di essi sono così profonde e vaste, che non
si possono ridurre ad errori di applicazione delle giuste direttive negli
organismi statali e di polizia della Russia dei Soviet, né si possono liquidare
con la condanna morale di Stalin e della sua cricca.
Se la rivoluzione mondiale avesse marciato innanzi, nello
Stato e nel partito russo avrebbero prevalso le direttive ed i gruppi
comunisti; la situazione contraria ha fatto prevalere i gruppi opportunisti.
Nessuna ricetta organizzativa poteva evitarlo, e tanto
meno quella, da molte parti invocata, di una «vera» democrazia negli organi
sovietici e nei ranghi del partito comunista. Il sistema elettorale
maggioritario, che non ha alcun serio valore nella società borghese, non ne ha
neppure nel seno degli organi proletari. Vi sono situazioni - e la più classica
fu quella del 1917 - in cui la minoranza del partito contro la maggioranza
impone la giusta politica, come sostenne nel Comitato Centrale il solo Lenin
contro tutti, Stalin compreso.
La soluzione della democrazia interna conduce alle frasi
banali che il socialismo è democrazia, e porta a ricadere nella condanna del
concetto basilare della dittatura rivoluzionaria, per cui nei momenti decisivi
della storia gli eventi più fecondi divengono contro il parere e la resistenza
dei più, oltreché contro l'interesse oppressivo dei pochissimi.
Il potere socialista del proletariato, una volta
costituito, dovrà la sua stabilità non ad una profilassi di difesa a tipo
morale o giuridico, contro gli egoisti, gli ambiziosi, i prepotenti che, per
libidine di privilegio e di dominio, riescono a ricostituire nuovi rapporti di
sfruttamento. Mentre la dittatura politica proletaria servirà a spezzare il
ritorno dei vecchi ceti privilegiati, il sorgere di nuovi sfruttatori sarà
impedito dal divenire dell'economia socialista, in quanto questa
progressivamente esclude anche in gruppi ristretti il bisogno e l'interesse di
realizzare nuovi rapporti di dipendenza economica.
Così lo schiavismo non scomparì per il fatto che nella
coscienza morale generale la fede cristiana avesse condannato l'abbassamento
della persona umana al grado di una merce, ma perché quel rapporto di
sfruttamento per il suo superato rendimento sociale non conveniva più a nessuno.
Tanto ciò è vero che esso ricomparve dopo secoli in America ad opera dei coloni
cristiani per il rinnovarsi di speciali condizioni economiche caratterizzate
dalla limitata popolazione con enormi estensioni di terra disponibili; e solo
ulteriormente, per la saturazione di quella società con elementi economici
capitalistici, fu di nuovo condannato ed abolito.
Il primo capitalismo che non conosceva le indennità per
infortuni, confrontando l'uomo e il mulo nei trasporti rischiosi preferiva
l'uomo, poiché il mulo morto per accidente è una perdita di capitale, e l'uomo
no.
Come il salariato ha sostituito lo schiavismo, e nessuno
ha interesse a ristabilire questo, così le nuove forme di produzione socialista
resisteranno alle degenerazioni contro-rivoluzionarie quando la loro espansione
ed il loro altissimo rendimento escluderanno che qualunque strato sociale abbia
interesse a ristabilire gli antichi rapporti.
L'economia russa non ha potuto raggiungere tale grado, e
per tale motivo è ricaduta nei sistemi dello sfruttamento contro cui aveva
combattuto la rivoluzione, ma tale processo, realisticamente inteso, se segna
una disfatta della causa proletaria, non contraddice le basi fondamentali ed il
trionfo futuro del comunismo.
Partito comunista internazionale
www.pcint.org